Soul. Pete Docter e la meraviglia delle piccole cose in un film ambiguo, forse più per adulti che per bambini.

di EMILIANO BAGLIO 14/01/2021 ARTE E SPETTACOLO
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I film di animazione, un po’ come le fiabe, dalle quali non a caso spesso sono tratti, da sempre affrontano le grandi questioni della vita, rivolgendosi, chi più chi meno, al pubblico dei più piccoli.

Tuttavia da qualche anno, anche i cartoni animati prodotti da Hollywood, in particolare quelli della Pixar, sempre più sembrano parlare più agli adulti che ai loro figli.
Soul, da questo punto di vista, non fa eccezione e sembra quasi essere il punto di arrivo di un discorso che il regista Pete Docter, aveva già affrontato nei precedenti Up (2009) e Inside out (2015).

Stavolta protagonista della vicenda è Joe Gardner (Jamie Foxx), insegnante di musica alle medie che da sempre coltiva l’ambizione di diventare un grande musicista jazz. Proprio quando, finalmente, il suo sogno sta per realizzarsi, Joe muore. Attraverso una serie di vicissitudini che non sveleremo, il nostro prima si ritrova nell’Oltremondo e poi nell’Antemondo dove conosce 22 (Tina Fey), un’anima che da sempre, come suggerisce il suo numero, si rifiuta di incarnarsi in un corpo sulla Terra.

Joe e 22 rappresentano due facce della stessa medaglia.

22, infatti, è convinta che non ci sia nulla per cui valga la pena vivere nel nostro mondo e per questo rifiuta di compiere il grande passo.
Joe, invece, da sempre insegue un sogno che ritiene darebbe senso alla sua intera esistenza.

La temporanea reincarnazione ed il loro viaggio sulla terra sarà per entrambi l’occasione per rimettere in discussione le rispettive convinzioni.

Al centro di tutto c’è l’idea della scintilla, l’ultimo tassello, se così si può dire, che permette alle anime in attesa di un corpo di trovare la passione o lo scopo della loro esistenza terrena.
È intorno a questo concetto che si sviluppa tutto il senso di Soul.

Apparentemente la scintilla sembrerebbe essere appunto il motivo per il quale ognuno di noi vive, la passione che anima ognuno di noi ed il fine ultimo per il quale siamo su questa terra.

Tuttavia basta un attimo perché questa possa diventare un’ossessione che ci porta a diventare delle anime perdute.

In un certo senso è il rischio che da sempre corre Joe, confondere la sua passione per il jazz come l’unica cosa che possa dare valore ai suoi giorni.

Sarà proprio 22 ad aprirgli gli occhi.

Giunta sulla terra quest’anima osserva il nostro mondo con gli occhi stupefatti di un bambino per il quale tutto è mistero e magia ed ogni cosa, anche la più piccola, è una sorta di miracolo per il quale vale la pena vivere.

Insomma la morale della storia è chiara.

Ognuno di noi dovrebbe essere in grado di recuperare quella capacità infantile di guardare alle cose cogliendo la bellezza che è dentro di esse.

Solo quando saremo in grado di farlo, esattamente come accade a Joe, riusciremo a guardare la nostra vita con occhi diversi.

Non penseremo più alla nostra esistenza come ad un susseguirsi di giorni tristi e di sconfitte ma saremo in grado di recuperare tutti quei momenti, magari anche apparentemente banali e piccoli, che la hanno resa unica e speciale.

Si tratta di un discorso che, come già detto, il regista aveva già affrontato nei suoi due precedenti lungometraggi.

Da questo punto di vista Soul, che appare come il compimento di questo percorso, sembra essere un film rivolto più a noi adulti.

Siamo noi, secondo Docter, gli individui che non sono più in grado di godersi la vita nella sua interezza e che confondono la scintilla con lo scopo della nostra stessa vita.

Col risultato che o finiamo per esserne divorati oppure, come accade a Joe, guardiamo alla nostra esistenza come ad un susseguirsi di fallimenti.
Proprio qui sta l’ambiguità di Soul.

Apparentemente potrebbe sembrare che il regista ci inviti a recuperare il senso di stupore capace di farci commuovere per una foglia di un albero, come accade a 22.

Oppure possiamo leggere il tutto da un altro punto di vista.

Soul può essere interpretato come un invito a non far sì che i nostri sogni finiscano con diventare ossessioni che ci distraggono dal senso della vita, che è l’esistenza stessa ed i tanti piccoli attimi miracolosi che la compongono e che non siamo più capaci di gustare.

Oppure può essere anche un’esortazione a lasciarli stare e ad accontentarci di quello che abbiamo.

Il dubbio, più che lecito, alla fine rimane.

Soul ci ricorda l’importanza delle piccole cose o piuttosto ci dice che dobbiamo accontentarci di quelle?

 

EMILIANO BAGLIO


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